Questa settimana ritorniamo al filone dei robottoni con uno molto particolare: Daitarn 3.
Scritto e diretto da Yoshiyuki Tomino, stesso autore di Gundam, ma con toni completamente diversi, basti pensare che, a mia memoria, sia l’unico robot che abbia espressioni facciali durante i combattimenti.
Nel XXI secolo, su Marte, lo scienziato Haran Sozo crea dei cyborg chiamari Meganoidi ma ne perde il controllo.
Capeggiati da Don Zauker e Kuros, i meganoidi decidono di rendere schiavi gli umani e trasformare i migliori di loro in meganoidi.
Attraverso delle astronavi chiamate Macchine della Morte riescono a trasformare i propri comandanti in Megaborg, una sorta di enormi robot da combattimento.
A difendere la terra dall’invasione dei Meganoidi c’è il Daitan 3 pilotato da Haran Banjo, figlio dello scienziato che ha inventato i terribili cyborg.
Ad affiancare Banjo troviamo Garrison Tokida (maggiordomo tuttofare), Beauty Tachibana (bionda mozzafiato figlia di un famoso imprenditore, ex-socio in affari del padre di Banjo). A loro presto si aggiungono Reika Sanjo (ex agente dell’Interpol) ed il piccolo Toppi (orfano salvato da Banjo).
La storia si sviluppa in maniera episodica con il comandante di turno che si trasforma in megaborg e viene sconfitto dal Daitarn 3 con la potente arma chiamata Attacco solare.
Ma la caratteristica peculiare dei Comandanti è che sono molto diversi dai tipici nemici inquadrati militarmente di molte altre serie. Sono spesso terrestri divenuti cyborg volontariamente, i Comandanti sono spinti da motivazioni egoistiche e che nulla hanno a che fare con lo scopo finale di Koros. Come ben evidenzia Banjo, hanno rinunciato alla loro umanità per ovviare a pecche fondamentali nel loro carattere (megalomania, estrema insicurezza, maniacalità e così via). Gli episodi, che spaziano spesso dal fantascientifico all’horror, vedono spesso una prima fase di investigazione con tanto di avventura alla 007.
Nonostante storie spesso molto drammatiche il tono della serie è molto leggero e auto ironico. Spesso si fa il verso alle altre serie robotiche di Go Nagai, per esempio in un episodio le due assistenti di Banjo vengono sostituite dai meganoidi, ma il protagonista se ne accorge subito perché “Non hanno lo stesso vestito di sempre”.
Il finale della serie, però, risulta abbastanza emblematico. Nell’edizione del 1980 che abbiamo visto in TV la battaglia finale si combatte nel disperato tentativo di sventare il piano di Koros di far precipitare Marte sulla Terra.
Nel 2000 la Dynamic pubblica una versione in VHS rimasterizzata e con un nuovo doppiaggio rendendo la storia più aderente a quella originale.
Si scopre così che le motivazioni di Banjo sembrano essere nettamente più personali e legate, più che ad una oggettiva necessità di contrastare la sete di conquista dei Meganoidi, al desiderio di Banjo di distruggere l’operato del padre, responsabile di avere usato come primi prototipi di Meganoide la moglie ed un figlio, privandolo così della madre e di un fratello.
I Meganoidi inoltre non avrebbero mai progettato di fare entrare in collisione Marte e la Terra né di schiavizzare gli esseri umani. Nell’ultima puntata infatti Koros rivela che il suo più grande desiderio era quello di partire con Don Zauker e tutti i Meganoidi per cercare un pianeta dove poter vivere in pace, ma che tale obiettivo era ostacolato da Banjo che aveva giurato di sterminarli. In effetti, durante la serie, gli ordini di Koros sono sempre quelli di distruggere il Daitarn: voler schiavizzare gli umani o conquistare la Terra ed altre cose simili sono obiettivi che molti comandanti perseguono unicamente per soddisfare la propria avidità personale.
Pertanto l’abbandono, nell’ultima puntata, di Banjo da parte di Reika, Beauty, Toppy e Garrison diventa più comprensibile – ma non per questo meno triste, in uno dei finali più mesti che le serie robotiche ricordino – se interpretato come la presa di coscienza, da parte dei quattro ex compagni di Banjo, dell’inutilità della loro passata lotta contro i Meganoidi, e di come questa sia stata, più che una lotta per la giustizia, la manifestazione dell’ossessione di un giovane uomo. Non a caso dopo aver vinto, Banjo, finalmente libero del suo odio, si ferma un momento a riflettere ed esclama: “Ma che cosa ho fatto?”